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LA CASA DEL SABBA

LA CASA DEL SABBA

Nella tradizione dell'horror italiano: La casa del sabba è una rivisitazione del filone sulle case maledette e sulla possessione diabolica, in cui però la figura del demone assume un aspetto grottesco più che sinistro e inquietante. Non è un caso, infatti, la scelta degli autori e del regista di alternare momenti drammatici e di tensione a sequenze più ironiche e surreali, a volte vere e proprie gag. Robert Santana, famoso scrittore italoamericano di romanzi dell’orrore, giunge in Puglia per trascorrere alcuni giorni in una vecchia casa abbandonata vicino al mare. Una fama sinistra aleggia su quei luoghi, a causa dei fatti inquietanti accaduti anni prima e di uno strano video che circola in rete. L’agente immobiliare cerca di convincere Robert ad acquistarla, ma lo scrittore vuole trascorrerci dentro solo qualche giorno per trovare la giusta ispirazione. La memoria della casa inizia a manifestarsi con allucinazioni, che lo scrittore annota come spunti per il suo romanzo. Conosce poi alcuni abitanti della zona che gli raccontano la storia di una setta giunta sul posto negli anni Settanta per edificare un tempio dedicato al culto satanico. Lo scrittore, quindi, scoprirà presto che la setta continua ad esistere. Sono interpreti del film Marco Aceti (Lettera H), Corinna Coroneo (Reverse), Marco Cerilli, Franco Nacca, Chiara Pavoni, Nicole Stella, Fiorella Franco e Matteo Pastore. Le musiche del film sono firmate dal bluesman e attore Clive Riche, che ha inoltre prestato la sua voce al personaggio del professor Vassago, vicino di casa dello scrittore. La colonna sonora originale è stata composta da Javè, nome d’arte di Simone Pastore ex componente del duo Da Blitz. Luigi Pastore, in veste di produttore per la LuPa Film, oltre ad aver curato la supervisione artistica del progetto è direttore della fotografia, montatore, autore del soggetto e, insieme a Marco Cerilli, co-sceneggiatore del film. Gli effetti speciali sono stati realizzati dalla Scuola Fantastic Forge di Sergio Stivaletti, prediligendo la tecnica artigianale utilizzata nei classici dell’horror.
HIPPOCAMPUS M 21th

HIPPOCAMPUS M 21th

Hippocampus M 21th è un film del 2015, diretto da Alexander Fennert Trattasi di un horror estremo e perverso, un weird-movie indipendente dal titolo oscuro, frutto di una co-produzione italo-tedesca: fra i produttori nostrani c’è Luigi Pastore, che secondo alcuni rumors (non confermati) circolanti in rete sarebbe anche il vero regista. Tema conduttore è la follia umana (l’ippocampo è una regione del cervello) e l’esplorazione delle perversioni sessuali più ributtanti. La narrazione avviene attraverso sei tableaux vivants, in sei appartamenti dove vari personaggi danno sfogo a deviazioni sessuali, deliri corporei e psichici. Ogni appartamento, in Hippocampus M 21th, esplora una perversione. Primo episodio: due sorelle e il fratello vivono reclusi in un disgustoso gioco sado-masochista, dove la mistress (con tanto di vestito in pelle nera) disseta i sottomessi con la propria urina, mentre tutti si sfamano con cervelli di origine ignota e si preparano all’accoppiamento. Secondo episodio: un maniaco sessuale che ama torturare le bambole decide di applicare le sevizie a una donna, che vediamo completamente nuda; davvero notevole l’uccisione mediante una lama che trapassa la vagina in un tripudio splatter. Terzo episodio: una coppia pratica una forma d’arte molto particolare, cioè dipinge mescolando il sangue di lui con le feci di lei, ma non solo dipingono, bensì vi si spalmano con gusto; la coprofilia la fa da padrona, e c’è persino una defecazione in diretta sulle mani dell’uomo (difficile stabilire se vera o simulata). Abbondano qui le nudità esplicite, presenti anche nel quarto episodio, che vede come unica protagonista una donna affetta da formicofilia: dopo una pseudo-masturbazione con frustino e mascherina bondage, si immerge in una vasca piena di insetti (vermi e blatte) godendo del loro scorrere sulla pelle. Quinto episodio: necrofilia omaggiante Jorge Buttgereit, con una donna matura che intrattiene rapporti sessuali – mediante un fallo di gomma – con il corpo mummificato del marito. Infine, il sesto episodio, il più anomalo in quanto esplora più un’ossessione che una perversione: la coulrofobia, cioè la paura dei clown, dai quali un erotomane si sente minacciato. Dal punto di vista estetico, i segmenti di Hippocampus M 21th che spiccano sono quello delle bambole e quello della necrofilia, con luci iperrealistiche verdi e rosse dal sapore baviano/argentiano. Pur se realizzato in low-budget, in sintesi, è un prodotto di buona fattura estetica che va gustato – lontano dai pasti – seguendo il flusso delle immagini, essendo un’operazione più descrittiva che narrativa, completamente muta e accompagnata da brani di musica classica che fungono genialmente da contrasto – in uno stile quasi espressionista verrebbe da dire. Sicuramente tra gli esempi più estremi dell’attuale panorama indi europei. E quindi meritevole di particolare attenzione. (Davide Comotti, Nocturno)
VIOLENT SHIT: THE MOVIE (sottotitoli in italiano)

VIOLENT SHIT: THE MOVIE (sottotitoli in italiano)

Violent Shit – The Movie è un film del 2015, diretto da Luigi Pastore. Luigi Pastore, dopoCome una crisalide (2010), dirige e co-produce un horror particolarissimo che ha iniziato con successo il suo viaggio in vari festival internazionali: Violent Shit – The Movie (2015), che si colloca a metà strada fra remake, sequel e reboot del celebre Violent shit tedesco di Andreas Schnaas (1989). Dalla Germania, la vicenda si sposta a Roma, dove Karl The Butcher si è trasferito dopo le stragi compiute in terra natia: l’agente di polizia D’Amato (Vincenzo Pezzopane) deve investigare su una serie di efferati omicidi insieme all’agente Ebert (Steve Aquilina) dell’Interpol, giunto da Amburgo, poiché questi delitti che ricordano il modus operandi di KTB, innanzitutto per lo smembramento dei cadaveri. Ebert ipotizza che gli omicidi seguano un rituale esoterico, e le indagini portano i due agenti al misterioso professor Vassago (Giovanni Lombardo Radice), che sembra nascondere qualcosa. Nel frattempo, un altro assassino si aggira in città: il senatore Vinci (Antonio Zequila), che sevizia e uccide giovani vittime. Che ci sia un collegamento tra i due fatti? La figura di KTB è ripresa nello specifico dai capitoli 2 e 3 della saga, in cui il corpulento assassino indossa la caratteristica maschera di ferro e l’abbigliamento verde-militare, qui accompagnato da un machete; dal primo Violent shit Pastore riprende invece l’incipit con Karl bambino maltrattato dalla madre (Stefania Visconti) e trasformato in assassino da un Boogeyman che spunta dal buio. La regia ha il merito di non cadere nella trappola del facile “splatterone” a imitazione di Schnaas: intendiamoci, sangue e budella ci sono e in abbondanza, ma dosati nel corso del film, perché il regista innanzitutto costruisce una storia da raccontare, e in base alla narrazione colloca lo splatter seguendo un climax ascendente che culmina nella mattanza finale. Gli effetti speciali sono di puro artigianato (nel senso buono) e realizzati con cura certosina dallo specialista David Bracci, che qui ha modo di sbizzarrirsi nelle crudeltà più estreme: corpi fatti a pezzi in mezzo ai topi, rasoiate sulla carne, sbudellamenti, teste e braccia fatti a pezzi col machete, decapitazioni e tipici flutti di sangue che schizzano con forza; una menzione a parte per due scene impressionanti, una ragazza a cui viene estratta la colonna vertebrale dalla schiena e la dettagliata evirazione in primo piano di un uomo. Violent Shit – The Movie gioca molto su omaggi e citazioni, sia nei nomi sia nel cast: i gustosi cammei di Enzo G. Castellari e Luigi Cozzi (due anziani ispettori che rimproverano i giovani agenti), Antonio Tentori, Barbara Magnolfi e Fabrizio Capucci. Una citazione a parte merita l’interpretazione postuma di Lilli Carati, diva del nostro cinema anni ’70 scomparsa il 20 ottobre 2014 e alla quale il film è dedicato: il regista recupera una scena da La fiaba di Dorian, un suo film iniziato e mai concluso per il sopraggiungere della malattia dell’attrice, e la riadatta nel ruolo iniziale di un’occultista – un’ottima scena, con un’intensa Carati e una fotografia in virato seppia. La fotografia è curata dallo stesso Pastore, e in alcune scene riprende le luci iperrealistiche verdi e azzurre in stile Bava e Argento – KTB nello scantinato, la ragazza seviziata da Zequila, il confronto fra Vassago e Karl – ma altrove se ne distanzia, per esempio nelle suggestive scene notturne di Roma (più dark e misteriosa che mai) o negli interni gotici e new-age. Come nella Crisalide, anche qui la colonna sonora riveste un ruolo primario, con le potenti musiche di Claudio Simonetti che alternano toni vivaci con altri più ossessivi e martellanti. (Davide Comotti, Nocturno)
RINO DI SILVESTRO

RINO DI SILVESTRO

«Il filo rosso di un cinema estremo e di exploitation lega tra loro i principali film diretti da Rino Di Silvestro: dall'erotico-carcerario DIARIO SEGRETO DA UN CARCERE FEMMINILE al giallo PROSTITUZIONE, dal nazi-erotico LE DEPORTATE DELLA SEZIONE SPECIALE SS all'horror LA LUPA MANNARA, fino al drammatico HANNA D. LA RAGAZZA DEL VONDEL PARK. Luigi Pastore e io abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di frequentare per un lungo periodo Rino, che intendeva realizzare un film-documentario sulla sua vita artistica. Tramite me, si è rivolto a Luigi perché facesse il montaggio di una sterminata quantità di materiale in suo possesso: fotografie, spezzoni di film, interviste. La nostra collaborazione si è presto trasformata in amicizia e il documentario Rino Di Silvestro Story - Il cinema. L'arte. La cultura è stato per Luigi e per me un lavoro importante e stimolante, che ci ha permesso di conoscere una persona dalle mille sfaccettature: regista, innanzitutto, ma anche sceneggiatore, scrittore, pittore, un artista sempre pronto a cimentarsi in nuove forme espressive. Prova ne è MEGALOPOLIS, un film che avrebbero dovuto girare insieme Rino Di Silvestro e Luigi, una vicenda altamente drammatica ed esistenziale sulla scia di Hanna D. ma, se possibile, ancora più disperata e violenta. Purtroppo Rino non ha fatto in tempo a realizzare questo suo ultimo progetto, ma ha però visto e regalato ai suoi amici il documentario sulla propria vita, di cui andava molto fiero. Con il suo cinema e con la sua personalità, con i suoi modi di fare bizzarri e con la sua profonda cultura, Rino rimarrà per sempre con noi» (Antonio Tentori). Edizione a cura di Luigi Pastore e Antonio Tentori
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